Oggi pomeriggio entro in un mondo completamente diverso dal solito, dato che mi accingo ad esplorare un museo dedicato a materia scientifica.
Riaffiorano per un attimo le mie peripezie matematiche al liceo linguistico: andata malissimo i primi due anni, dal terzo cominciai a migliorare, ma non c’era verso che mi ricordassi un procedimento per più di un mese. Non avevo la mente per numeri e formule.
L’interesse invece di approfondire quei nomi che non devono venir dimenticati mi ha portato a Galileo, anche se non siamo a Pisa, dove nacque, ma a Firenze, dove visse dopo gli anni passati ad insegnare a Padova.
Devo confessare, con le gote leggermente rosse, che sono caduta in un equivoco.
Pensavo infatti che l’intero museo fosse dedicato a lui, mentre invece gli è soltanto intitolato, e raccoglie le collezioni di strumenti appartenuti ai vari granduchi di Toscana ed esposti in maniera da ricostruire un filo storico per capire come la scienza si sia evoluta fino ai giorni nostri. Del resto i Medici non furono solo protettori delle arti ma anche patroni delle scienze.
Passati i controlli e preso il biglietto, mi trovo costretta a rallentare per lasciare andare avanti una vocina che non parla proprio sottovoce, perché per via della materia già per me difficile, ho bisogno di concentrazione doppia. Scelgo apposta orari poco frequentati, comunque meglio un piccolo fastidio che un assembramento affollato di visite guidate che si accavallano. Al massimo quando leggo i pannelli mi tappo le orecchie e via.
Ecco le prime teche con i primi strumenti, oggetti parecchio precisi, si capisce che vengono dal passato perché sono di legno, ma già mi sembra pazzesco che secoli fa senza la tecnologia satellitare odierna si sia riusciti a osservare il cielo fino agli anelli di Saturno…! Gli strumenti astronomici erano particolarmente apprezzati perché permettevano di fare calcoli senza ricorrere a complicate (lo dico io, beninteso) formule matematiche.
Seguono orologi di ogni tipo, ma non come li intendiamo noi, per controllare il tempo, bensì per misurarlo, per scoprirne le caratteristiche. Di nuovo: strumenti precisi, persino artistici nelle forme.
Da sempre il tempo si deve gestire per stabilire appuntamenti collettivi, tipo festività o scadenze, e per gli imprescindibili calcoli astrologici che allora decidevano la costruzione di qualsiasi palazzo.
Curioso che si sottolinei come nessuno abbia mai capito fino in fondo la natura del tempo; si sa solo che scorre, e lo si vede dai fatti della vita, per esempio dal corpo umano che cambia (il bambino cresce, l’adulto invecchia).
Necessari erano perciò orologi da giorno e da notte, perché allora funzionava tutto con la posizione del sole, e pertanto di notte si doveva far affidamento alle stelle.
Nella sala III comincia la serie di mappamondi, di genere diverso assai da quelli che troveremmo in cartoleria: c’erano figure umane e animali disegnati, e terre delimitate in una maniera che risulta (a me) parecchio difficile da decifrare.
Enormi o piccoli, erano i mappamondi del tempo in cui Cosimo era il primo dei fiorentini ed era visto perciò come al centro del mondo; qui il suo nome echeggia un po’ ovunque, e allora avevo ragione a pensare quello che ho scritto alla fine della visita a Palazzo Vecchio qualche articolo fa.
Leggo che anche agli Uffizi c’è una Stanza della Cosmografia. Per noi oggi sono raccolte di grande valore storico, ma ai tempi dei signori erano costituite con l’intento di celebrare il proprio potere (un po’ come avveniva con gli artisti, quando gli si commissionava qualche grande opera). La concezione della geografia si basava sulle teorie di Tolomeo, che considerava la Terra al centro dell’Universo.
Appesa c’è anche una mappa del mondo di Fra’ Mauro Murano con l’Italia a tacco in su.
Si prosegue nella sala successiva con le strumentazioni per la navigazione in mare. Difatti, una volta consolidato il potere in terra, i Medici vogliono conquistarsi terreno nei commerci con le Indie. Livorno diventerà così uno dei centri più importanti del Mediterraneo.
Purtroppo la cultura serviva anche per affari di guerra. Allora le città erano tutte nemiche, e per pensare di vincere i nobili dovevano essere istruiti di matematica e geometria, e le loro fortezze dovevano essere costruite in un certo modo. Il che purtroppo favorì il collezionismo e la manifestazione della celebrazione intellettuale dell’arte della guerra.
Non siamo ancora a Galileo (sto aspettando di vedere lui, e il suo busto è proprio nella sala successiva), e ho già la sensazione che sarà un’altra di quelle menti brillanti legate ad una qualche svolta. Lo immagino come spinto da una volontà non comune che lo ha portato a risultati mai sentiti prima. Infatti, quando parliamo di signori e sovrani, si gira intorno sempre ai soliti calcoli di potere, e questo non è mai niente di nuovo.
Grazie alle esplorazioni telescopiche avviate da Galileo nei primi anni del 1600, si scoprì che il sole aveva macchie, che la luna aveva una superficie con dossi e valli come quelli nostri, che le stelle in cielo erano molte di più di quante se ne vedessero con gli occhi soli, e si arrivò ad osservare i particolari (!) di Giove e Saturno.
Non mi sorprende che le moderne sonde siano spesso chiamate con nomi di questi grandi del passato, quasi come se gli si consentisse di continuare con le loro esplorazioni. Mi verrebbe da dire, li vediamo un po’ come dei maestri, perché ci colpisce la passione che inseguivano, e noi vogliamo emularli.
Con che occhi guardavano il cielo? Ecco che cosa affermò lo stesso Galileo:
Non tutto infatti è scritto in lingua… umana. Come può dunque l’uomo continuare a considerarsi in una posizione privilegiata?
I nostri meccanismi di linguaggio sono certamente solo parte di un insieme più grande.
Penso che in fondo è così anche quando andiamo a studiare la storia, nel senso che parlare di un re ed elencarne le gesta non è mai il quadro completo, non basta mai per capire chi davvero fosse quel re, e per questo trovo utile sapere qualcosa delle sue passioni e del suo carattere.
Quante volte proprio questa sfera più privata è stata motivo di sorpresa, e mi viene in mente di nuovo Cosimo I, che cambiò atteggiamento prendendo in contropiede chi ne aveva appoggiato l’investitura.
Salita al secondo piano, la visita comincia nella sala laboratorio del granduca Pietro Leopoldo di Lorena, succeduto all’ultimo dei Medici. Gli piaceva moltissimo dilettarsi in chimica, e la sala infatti è ricchissima di oggetti e calchi ostetrici, e custodisce persino il tavolino su cui operava.
Le sale rimanenti riassumono le tappe dell’evoluzione della scienza, facendo mostra assai generosa di strumentazioni in ottimo stato. Non manca l’aneddoto: trovo due bilance pesapersone, una come sedile, e l’altra con contrappeso, sono talmente belle e lucidate che quasi quasi mi verrebbe voglia di provarle… Piccole follie personali.
Riprendiamo le tappe.
Nel ‘700 si organizzano dimostrazioni con professori itineranti nelle varie corti, quasi come a teatro; in parole povere comincia una nuova forma di intrattenimento con esperimenti di elettricità, richiedendo strumenti sempre più sofisticati.
Qui è la parola intrattenimento a non andarmi giù. Bello è scoprire con amore di conoscenza; triste è che si cerchi solo l’emozioncina facile. A Parma, dove sono stata di recente, ho appreso che si andava a teatro non sempre per il valore del contenuto, ma per il tipo che apriva la bocca o metteva mano al violino.
Nell’800 si diffondono scuole e università, e si amplia il campo all’insegnamento. La produzione di strumenti di precisione per l’astronomia e la navigazione si concentra in Inghilterra, Francia e Germania, e l’Italia rimane molto indietro.
Spunta qualche ritratto e tanti nomi di scienziati uomini divenuti celebri, e c’è da chiedersi per ognuno di essi quante donne ci saranno state, sia intorno a lui come sostegno, o in prima linea…
Scienziati/e i cui studi hanno consentito di scoprire quei fenomeni che i nostri sensi non percepiscono, come pesi, pressioni, temperature. L’aria noi la respiriamo, ma ha un peso…
Poi, dall’osservare i fenomeni si passa ad agire sugli stessi, così si arriva per esempio all’invenzione della pila. Impossibile non considerare gli effetti collaterali di tutto questo percorso, a quali fini si procede a sperimentare. Ho un senso di dubbio andando avanti, mi sembra che di nuovo il progresso vada in direzione del potere.
La scienza non c’entra: è l’insieme dei processi che regolano la vita, una cosa (giusta) è osservare, tutt’altra è alterare o manipolare. Senza volere mi sono messa in simbiosi col percorso: all’inizio osservavo (gli strumenti, i mappamondi, ecc) ora comincio a pormi questioni etiche.
Come Ian Malcolm, l’eccentrico matematico invitato a Jurassic Park, che si domanda se tutto quel gran progetto era davvero qualcosa che dovevano fare.
Intendiamoci: io non mi perderei un viaggio su Marte, ma con quali scopi si pensano cose così? Che cosa c’è dietro? Marte non c’entra: è un pianeta sconosciuto parte dell’universo, è naturale che vogliamo andare a vederlo…
A questo punto del giro sento sempre più forte l’importanza per l’uomo di riconnettersi con le arti gentili. Prima del re o dello scienziato, c’è sempre la persona, e questa è fatta di tanti elementi che la rendono versatile, creativa, e in equilibrio.
Riconnettersi con la cultura e la natura vuol dire fare spazio a una parte della persona rimasta troppo a lungo indietro in nome di un progresso inteso più come potere che come avanzamento nella conoscenza.
Ora è Galileo a catturarmi di più, spingendomi a leggere anche della persona, quella non solo concentrata sul tema scienza, e il sito del museo mi viene in aiuto.
Anche lui, come me, viveva le sue giornate immerso in esplorazioni, privilegiando il contatto con la natura, più che con il centro città.
Viene descritto di aspetto robusto, ma con salute cagionevole, tenendo conto di tante pressioni di potere, e forse anche del senso di isolamento comune a chi apre una porta del tutto nuova.