In pochi ci passano, ma le atmosfere straripano. Un altro giorno sulla terra di Dolcenera si accompagna alle immagini di un luogo oltreoceano, dove il sole splende senza ostacoli di montagne, e il mare aperto invita a non restare sulla sabbia.
Coltivo anch’io il sogno della fuga lontano, sotto lo stesso sole, ma verso il mare interno della nostra Italia, e così accosto la stessa musica al camminare fra genovesi caruggi, dove si procede a saliscendi fra pareti colorate a murales e tante scale, ammirando un paesaggio che voglio credere diverso solo in parte da quello cantato.
Sono stradine strette, sporche di scritte e di cartacce. In certi punti ti introduci come in un tunnel segreto, con un misto di curiosità e adrenalina d’avventura. Ovunque mura e inferriate portano addosso i segni dell’umido e (penso io) della salsedine. Un bivio stracarico di insegne accanto a parti di palazzo annerite suggerirebbe un tutt’uno in disordine estetico; vi si respira, invece, l’atmosfera particolarissima come di un mondo ancora indipendente, l’ideale per evidenziare i punti di richiamo alla storia.

Il nome di Via della Maddalena ricorda una donna, donna il cui nome si lega alle tante edicole votive con madonne ad ogni angolo. Purtroppo accanto anche a scollature fin troppo generose.
Odore di strada, odore di detersivo, macellai come una volta, pastai, gente seduta, annunci di molte e tante attività, cenni di riunioni ideologiche, qualche hotel, il resto è tutto vita del posto.
Di questo ed altro cantava Fabrizio “Faber” De André, che in Dolcenera porta l’immaginazione a ricreare un quotidiano vicolo, per poi riempirlo di poesia e suon di fisarmonica. In quella storia l’acqua picchia forte; nella storia dell’altro giorno, picchia il ritmo. Sorpassa il tranquillo suono di paese con un inizio di pianoforte che convoglia le energie a liberarsi in festa.
In un luogo che di sconfinato ha solo il verticale, con pareti fra loro vicinissime, l’unica fuga possibile è lassù dove volano i gabbiani, sopra le punte dei palazzi che s’incrociano a forma di prua di una nave. Sanno loro dov’è il mare, da terra non se ne vede orizzonte.
Mi soffermo volentieri lungo Vico del Ferro; lo sguardo segue (al momento in cui visito) una pioggia di graziosi ombrellini, allineati come su tanti fili sospesi, poi ridiscende per ammirare, un po’ ovunque, colorate botteghe con frutta fresca di ottimo aspetto e mazzi di basilico in vivo verde.
Ci siamo all’estate, che sempre aspettiamo con ardore quando estate non è.
E aneliamo il caldo che meglio si sintonizza con la musica nostra: salti di gioia sulla sabbia, capelli al vento, collanine che inducono al sorriso, e tutti i colori possibili dell’anima.
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