Parlare di Lungolago Maggiore rievoca centri come Stresa, Arona o Isola Bella. Anche Verbania e Ghiffa accolgono turisti, ma non in ressa. Si sente comunque (e un po’ dappertutto) parlare in varie lingue; e se le labbra restano mute, parlano le targhe delle auto.
Verbania mi accoglie con un incrocio di profumi tra il dolce e il pino aromatico e la castagna, che non so definire, ma che, provare per credere, è molto gradevole; rende meno faticosa la mia camminata in salita per raggiungere l’ostello.
Più tardi mi concedo una passeggiata fra le belle viuzze che ospitano le tante villette. Momento riposante non senza qualche sorpresa: spunta infatti addirittura una casa con indosso un “travestimento” di edera (che nel mio colorito linguaggio significa rivestita d’edera quasi completamente, come non avevo mai visto).
La sensazione di bellezza discreta si intensifica quando metto piede a Villa Taranto, la gemma di Verbania, un grande giardino botanico con piccoli sentieri in mezzo a tanto verde ed altrettante aiuole, e dove da una salita si vede il paesaggio proseguire fra le montagne lombarde.
Una scalinata fra due colonne d’albero è il mio primo impatto. Superata la biglietteria, m’incammino, e non mi sfuggono certi pini altissimi, somiglianti a quelli di certi paesaggi del Canada.
Grande è la sorpresa di scoprire una piantina con foglie fucsia, manco a dirlo il mio colore preferito!! Persino una sequoia. Ritornata infine all’ingresso principale, scopro che c’è anche un angolo di spiaggia riservato ai cani.
Verbania è una cittadina molto tranquilla, giusto da gita, ma chi arriva in ferrovia deve tener conto che la stazione è fuori, perciò o aspetta il bus o chiama un taxi. Il tragitto a piedi non è consigliabile, perché troppo lontano e su una strada trafficata e stretta.
Inoltre, solo con un mezzo guidato da altri ci si può accorgere di un idilliaco campo da golf, e lasciarsi prendere dal sogno inevitabile di poggiare i nudi piedi su quell’eden di giardino tutto fatto di erba fresca e pulita.
Se, riassumendo, Verbania è una cittadina come tante, Ghiffa è un puntino minuscolo quasi sconosciuto, specialmente di martedì.
All’imbarcadero c’è un ufficio turistico (l’unico) con una gentile impiegata, il cui inglese parlato rivela che non è abituata a trovarsi con stranieri.
Ghiffa è una località di passaggio, e difatti la strada principale coincide con il lungolago della statale. Un posto che di per sé non attrae; ma sono io che sono attratta da posti così.
A Ghiffa si andrà per allontanarsi dal mondo, eppure scopro che un tempo era sede di una rinomata fabbrica del cappello oggi convertita in museo, la cui posizione geografica, come ultima fermata, sembra voler combinare il fascino del ricordo di un tempo fiorente con l’arrivederci al turista in transito.
Ghiffa vive secondo i ritmi di una volta, quando gli “antichi” negozi di alimentari chiudevano per pranzo e non mezz’ora, e riaprivano nel pomeriggio, tranne il mercoledì. E dove si mangia a mezzogiorno, e se capiti alle 14, be’, è chiaro che la cucina è ormai chiusa.
Dove il pullman del ritorno deve passare per forza di lì, ma tu non sei pratico quindi speri che… no, anzi; meglio se ti fai vedere dall’autista, sennò passa oltre senza nemmeno fermarsi…
Salire sul Sacro Monte, patrimonio di noi tutti, è costata fatica a suon di mulattiere e nulli cartelli, al punto che ho dovuto chiedere a qualche lavorante se ero sulla strada giusta, perché su per il sentiero non vedi anima viva, quasi più nemmeno il cielo, tanto è fitto il bosco.
Poi, proprio quando ormai disperavo di arrivarci, finalmente la vista prima di una chiesetta e poi di qualche mio simile; infine il resto monumentale, ammirevole esempio di un’architettura in totale armonia col paesaggio.
Fermarsi lì per un paio d’ore, su quel punto in alto con vista lago incredibile, fa uno strano effetto sulla gente di città, ma favorisce un risveglio rigenerato la mattina dopo.
Sono posti dove farfalle, insetti, pini ed alberi tutti, non ce n’è uno che stia fermo; chi inebria la vista di bei colori d’ala, chi si nutre e impollina, chi rilascia balsamico profumo, chi si spinge tanto in alto… Davanti a loro devo sembrare piccola piccola, e vulnerabile, ripensando al sentiero in cui per un momento ho temuto di perdermi, o di farmi male senza poter chiamare nessuno, nemmeno un tetto dove ripararmi se mai fosse piovuto…
Ma niente di quest’aria fa temere la pioggia. Seduta ad un tavolo picnic, mi godo tutta la trasmissione di respiro e riposo. Mi inebrio a tal punto da immaginare di fare un tour da sogno del lago, e spingermi fino a Locarno, che già non è più Italia.
Penso e ripenso che sono felice di essere qui, e che vorrò tornare.
Avverto un solo rumore in lontananza, come di un aereo, e infatti alzo lo sguardo e ne vedo uno. Vola la contentezza interiore di quando pensi che ci potresti essere tu lì sopra, e che ti stia portando chissà dove…
Fino a ieri non sapevo che esistesse un posticino così, ma gli devo molto di questi riposanti momenti di intensa libertà.
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Ami anche tu i laghi di montagna? Io ho ammirato quello di Como, aspetto di ritornare su quello di Lugano e di scoprire finalmente quello d’Iseo. E il Garda…
Trovo però che il Maggiore sia l’ideale per scoprire la vita locale.