Che effetto può fare entrare nel museo primo di una città come il Galata di Genova, dislocato su vari piani, ognuno imprescindibile per la completezza all’argomento trattato?
A me è successo di dimenticarmi della colorata estetica del Porto Antico in un pomeriggio di sole.
Ma sentivo che era una tappa dovuta; passeggiare fra barche, reti e attrazioni non basta certo per acquisire un po’ di più dell’identità unica di questa città.
Il solo fatto di vedere dei quadri a soggetto navale, ha significato tuffarmi in un mondo pressoché sconosciuto, essendo io nata in Piemonte.
Una delle prime sale è dedicata a Cristoforo Colombo, di cui diverse città si disputano la nascita. Il visitatore qui può venir sorpreso da curiose domande. Per esempio: dove avrebbe imparato Colombo a navigare? E che idea aveva Colombo del mondo?
Su quest’ultima ho inciampato io. Perché la domanda non chiedeva un’opinione, ma com’era fatto il mondo secondo Colombo e quelli del suo tempo. Risposta: un unico continente eurasiatico più qualche isola immaginaria.
Qualche passo oltre i soldati del militare Andrea Doria hanno lasciato i loro elmi, a cui l’installazione espositiva ha aggiunto suoni di ferri che si battono senza fermarsi nemmeno per respirare.
Da questo punto in poi si comincia a entrare nell’atmosfera delle attrazioni giganti, ovvero le fedeli ricostruzioni di tre navi intere!
La galea del ‘600, la nave degli schiavi. Mastodontica. E talmente realista da farmi sentire quel certo malessere dei piani inclinati che soffro ogni qual volta passo in Liguria via treno.
Un brigantino dell’800, da dove si possono vedere gli alloggi di marinai e comandante.
Il piroscafo degli emigranti, completo delle tappe obbligate agli uffici di controllo documenti prima di salirci e poter farsi un’idea diretta delle condizioni della traversata.
A questi si aggiungono la mostra sull’ Andrea Doria, che naufragò in acque americane, la Sala degli Armatori, e la zattera originale di un’avventura di Ambrogio Fogar.
Infine fuori, in darsena, è aperto un sommergibile, che però magari potreste raccontarmi voi in un commento, perché io non ci sono andata, preferendo fare un giro nella scuola con i simulatori.
Tornando ai tempi della fiorente città stato, una scena con manichini ricostruisce il traffico dell’argento, in cui brillano gli affari di una Genova che presta soldi a mezza Europa, nonostante la sua potenza non fosse al pari di Barcellona o Venezia.
Eppure Genova di affari ne faceva eccome. Incassando (appunto) argento, che in parte trasformava nelle bellezze oggi ammirabili in ville e palazzi.
Genova vive però una storia personale che rimanda a un comportamento diffuso: la resistenza al cambiamento di chi non vuol mollare la poltrona. Tutto questo la porta a indebolirsi, fino al punto che gli stessi aristocratici non riescono più a guidare… la nave, cadendo per mano di Napoleone senza neppure tentare di combattere.
Tornata poi la pace, eccola finire sotto la dominazione piemontese. Addirittura le navi battono bandiere di comodo, per questioni di sicurezza dai pirati e per le solite convenienze del soldo.
Le spiegazioni che mi attraggono di più sono le parole dirette di chi viveva con le galee nel ‘500. Il termine galeotto deriva proprio da galea.
Lo spavento delle ciurme schiavizzate erano soprattutto le epidemie, fu proprio a bordo di una galea diretta a Genova che la morte nera sbarcò. Brividi che ricordano il Dracula di Stoker.
Siamo moderni e tecnologici, ma le nostre paure sono quelle di sempre, e hanno radici antiche. Tante storie truci, vere o inventate, sono legate ai misteri del mare, un universo che per buona parte resta ignoto.
Che creature vivranno negli abissi in cui nemmeno la luce arriva più? Noi di quassù sappiam qualcosa di squali e balene, e qualcuno li ha anche scelti come protagonisti di romanzi o film.
Che mistero c’è dietro le navi fantasma?
E che cosa può provocare il famigerato maelstrom (vortice)?
Io non ho paura di nuotare, ma il mare aperto è tutt’altra cosa; me ne sono accorta passeggiando sul ponte in pieno buio su una Costa Crociere mentre facevo uno stage…
Un pavimento mobile e instabile, privo di segnaletica, per cui è vitale dotarsi di strumentazione indipendente dai movimenti della nave. Deduzione facile oggigiorno, ma fra queste sale ci si ricorda che le navi antiche andavan senza motore, eppure arrivavano fino in Perù e in Australia…
All’entrata nello spazio dedicato a Memoria e Migrazioni questi pensieri svaniscono e mi avvicinano ad un’epoca che non ho vissuto direttamente ma che sento a me più familiare: il sacrificio del viaggio alla ricerca di una vita migliore.
Non sono nipote di emigrati, ma quando ho cominciato a spostarmi ho provato uno scuotimento interiore che ho scoperto solo in quel momento. Il distacco dalla propria terra e dai propri cari lo è sempre.
Dovunque vai, non è più la sicurezza di casa tua.
Ambientarsi in un paese diverso costa fatica emozionale, oltre che linguistica.
La nostra emigrazione è stata un crocevia di speranze e vicende che portano noi (quelli di oggi) alle lacrime.
Avete mai letto qualche lettera? No? Allora forse bisogna farlo…
A rinforzare l’atmosfera è la ricostruzione della Genova del 1870, con tanto di mura dipinte e composizione di edifici.
Come dire: lasci momentaneamente il viavai cittadino, entri in un luogo chiuso che ti introduce di nuovo nella stessa città ma indietro nel tempo.
Vi ricordate Novecento, il Pianista sull’Oceano?
Il resto bisogna andarlo a vedere. Un riassunto della nuova vita negli Stati Uniti, in Brasile ed Argentina, poi si sale sul piroscafo.
La visita si completa con le sale che trattano del flusso inverso, cioè la migrazione che dal ’75 ha cominciato a dirigersi verso di noi, con tanto di barcone donato a Genova da Lampedusa su cui stavano stipati in so più quante decine di migranti.
Una parte è poi dedicata alla forza lavoro, vedo anche uno scatto in bianco e nero che ferma subito il tempo.
Gli sguardi si incontrano. Un tempo che non è più, ma continua ad essere parte di noi.