Una bellissima vacanza quella che mi sono concessa a settembre, quattro giorni nel mio amato nord, mi sono sembrati quattro mesi. Un mezzo giro a Fidenza, poi cambio di treno con salto di qualità, chi mi porta a Milano saranno le carrozze del Rock. Chissà se, una volta arrivata, piangerò: non sto esagerando, per me significa molto ritornare dalle mie parti.
Non ho pianto. Ma l’emozione inaspettata mi ha preso dopo, sulle carrozze del Tilo, linea ticinese che collega il capoluogo lombardo con Lugano. Un gran manto verde preannuncia finalmente il lago, non vedo ancora l’acqua che già riconosco la morfologia delle montagne, e ad ogni rallentamento del treno sono pronta a saltare, ma no, sono ancora microstazioncine di passaggio… Inoltre qui siamo prossimi al confine, ed io ho il mio solito debole per i punti di frontiera.
Quando finalmente arrivo, e dopo aver sistemato il valigiotto, subito m’incammino per rivedere quel paesaggio che mi era rimasto nel cuore. Da tre anni non sognavo altro. E per prima cosa m’imbatto nel punto da cui si deve sempre partire per ricordare una città: la memoria storica. Sono i miei primi omaggi appena arrivata a Como: il monumento ai caduti della prima guerra, il monumento alla Resistenza Europea, con scultura e dedica del lungolago a Mafalda di Savoia.

Poco prima, appena uscita dalla stazione San Giovanni, scendendo lo scalone mi ero trovata davanti alla scultura impressionante di due enormi mani, una rivolta verso l’alto e l’altra a terra, a ricordo di chi nella vita si impegna, e di chi è caduto per amore dello stesso impegno.
Quando faccio per tornare in ostello, essendo ormai sera, prendo una strada ma mi accorgo di addentrarmi un po’ troppo nell’entroterra, forse ho sbagliato orientamento. Poco male, Como è piccola, al massimo torno indietro…
D’improvviso, alzando gli occhi, scorgo un’enorme croce illuminata sulla montagna antistante. In seguito noto che la stessa è visibile sia dalla stazione che dalla finestra della mia camera. Naturalmente non sarà un mistero, infatti è molto probabile che si tratti della croce di S. Euticchio, vicino ad un ristorante-rifugio. Ma vista così, come un’enorme luce nel bel mezzo di un buio totale, è un fatto… unico. Qui non siamo in una metropoli: l’illuminazione cittadina è limitata.

Mi regalo il giorno dopo una passeggiata fino a Villa Olmo, dove abitarono i Visconti, la villa con la corona, immersa in un parco romantico con dietro un’enorme cedro del Libano.
Rami impressionanti che nascono da un unico tronco radicato sull’erba, dove “siedono” panchine singole o in gruppo, e dove brilla di giallo un solitario fiorellino.

Fa frescuccio, io sono in sandali e gonna, ma il poncho è sufficiente a riscaldarmi. Sono le dieci di mattina, non c’è quasi nessuno. Mi godo questa calma con il rumore appena percettibile dell’infrangersi delle onde, simpatici cagnoni o cagnolini, e, insieme alle papere, anche tanti splendidi cigni.
Quello che più mi affascina del lago sono le montagne alte che cadono in discesa diretta sullo specchio d’acqua, e la loro estesa massa di verde che converge in modo tale da far capire, insieme a nuove montagne che spuntano da dietro, che il lago si estende molto oltre il punto della vista che Villa Olmo contiene. C’è un tempo non ancora invernale, una sorta di fine estate che va lasciando spazio al circolare delle nuvole, e questo rende lo scenario molto suggestivo. È acqua, ma è anche terra di montagna. Se fossimo al mare protesteremmo sole, ma qui le turbolenze non disturbano.

Sullo sfondo dietro la città c’è persino una roccia che ricorda un po’ il Pan di Zucchero. Dalla parte opposta molto all’orizzonte, al centro delle montagne più lontane c’è come un gruppo di macchie, non distinguo, potrebbero essere roccia oppure le case di un paesino che non confina con l’acqua.
Non molto lontano da qui ci sono gli Orridi, spettacolari gole con cascate e torrenti. Uno di questi è citato da Fogazzaro nel suo romanzo Malombra.
Sulla via del ritorno mi fermo attratta da un gatto che adocchia un gruppo di colombi. È insignito di collarino, segno distintivo di gatto residente e non prataiolo. E la villa teatro del suo possibile agguato, neppure lei è una villa randagia.
Da qui è passato Napoleone, in questa e altre dimore si è ragionato di Risorgimento. È il primo gatto della mia storia che ignora completamente il mio saluto, mantiene fissa la mira e nello spazio di un microsecondo zompa sul gruppo di volatili, senza però che loro ci caschino.

Dal Tempio dedicato ad Alessandro Volta, inventore della pila, circondato da una corte di piante tutte rivolte verso di lui, proseguo intenzionata a fare una passeggiata esplorativa fra vie e contrade, vie strettissime da cui spunta subito imponente la montagna, alta come un muro invalicabile. Da qui si entra nel vivo della cittadina, laddove si trovano piazze e locali di ritrovo, a cui si aggiungono qua e là tracce medievali.

Mi concedo anche un giro in battello; è lì che capisco che di Como il lago ha preso solo il nome.
Bello vedere da più vicino tutti questi angoletti che paiono immuni alle modernità; da lontano certe ville sembrano come scatoline, piccoli monumenti che fanno immaginare un moltiplicarsi di stanze, completati da gazebo fra i cipressi, ponticelli ed archi, spunti di strada, e accompagnati (proprio oggi) da uno sfarzoso ricevimento a Villa d’Este.
Case in gruppo, case isolate, persino un pezzo di prato esposto al bacio del sole. Ville a pelo dell’acqua, qualcuna seminascosta dagli alberi, qualcun’altra sottoforma di torretta che spunta dalla cima di una montagna.
Lago di Como, ambiente da ricchi…
Abiti nella tua piccola reggia acquistata a suon di non so quanti milioni ma sicuramente dotata di comfort da hotel dieci stelle, magari pure con la servitù, poi esci e sei in paradiso.
Uno scenario incredibile, come quella scena finale di Guerre Stellari girata alla Villa del Balbianello, dove dava proprio l’impressione di essere su un altro pianeta…
(continua nella SECONDA PARTE)