Dal Lido di Lenno a Menaggio sulla sponda sinistra del lago, c’è pochissimo; ma io dedico all’ultima la prima giornata, mentre la prima è stata una decisione dell’ultimo minuto.
Traduzione: prima transito a Menaggio per raggiungere Villa Fogazzaro ad Oria, e quella sera stessa decido di recarmi a Lenno l’indomani, per visitare la stupefacente Villa del Balbianello.
Durante il transito mi accorgo anche di Villa Carlotta come dell’isola Comacina, l’unica del lago, che si fa notare per il verde brillante del prato. Ma la mia meta di adesso è… lei.

Appartenuta prima ad un cardinale, poi abbandonata e infine acquistata da un esploratore, Guido Monzino, che ne ha voluto fare la sua ventiduesima impresa.
Dal Lido si va in salita fino al cancello; poi si prosegue in discesa, godendo la vista di un rilassante panorama verde bosco con alberi altissimi.
Luisa, la nostra simpatica guida, ci conta in 14 e ci chiede gentilmente di “non diventar 22”; non so bene in che modo qualcuno potrebbe sgattaiolare clandestinamente nel gruppo, ma poi va tutto bene, e 14 rimaniamo.
Siamo tutt’orecchi nell’ascoltare la capillare (per la verità anche un po’ frettolosa) esposizione della storia di questi interni, in cui solo le finestre con i vari scorci del paesaggio ci ricordano di dove siamo, perché il percorso interno ne è totalmente estraneo.
Dentro, infatti, assomiglia tutto più allo studio di un notaio o avvocato. Mobilia forte, sei pipe, l’ultimo pacchetto di sigarette, e dipinti su vetro perché danno più luce. Persino la slitta con cui Monzino in sei mesi ha raggiunto il polo nord. Addirittura un passaggio segreto per sfuggire abilmente dai malintenzionati.
Insomma, un uomo dalla vita intensa… Innamorato di grandi imprese, trovò anche il tempo di fare volontariato. Fu nominato conte, con uno stemma raffigurante un cervo sulla cima di un monte che guarda al sole, come per dire “passo dopo passo arriverai in cima”… Così fu per lui, e spero anche per me.

A Menaggio la fermata del pullman è vicino al cimitero, e una lapide a ricordo di un partigiano controbilancia la visione meravigliosa.
Ancora una volta l’Italia è terra di tutto, anche della bellezza di semplici abitanti del posto che qui hanno vissuto tutta la loro vita e conoscono bene il passato di resistenza e di passione della montagna; e della bellezza di minuscoli angoli con gli stessi diritti di un monumento ad essere tutelati al meglio e tramandati.
Le montagne che cadono sull’acqua potranno dare un’immagine romantica, ma quelle opposte sono un muro gigantesco ed impressionante.
Sembrano un ostacolo alla vista dell’orizzonte, ti fanno immaginare quello che c’è dietro: un altro mondo (antico), un altro lago (quello di Lugano), la fine del nostro territorio. Non mi sono ancora ripresa dalla febbre della Svizzera…
Sono luoghi che mentre aspetti il bus ti intrattengono con qualcosa di veramente unico.

La chiesetta di Santo Stefano a Lenno è tutta affrescata e con una cripta-gioiello in pietra.
Il lido è breve ma offre uno spettacolo che quando ti giri verso l’entroterra ti proietta in tutt’altro tipo di paesaggio, come quelli valdostani di baite e prati.

L’atmosfera umana è quella che è. Capita che tu capiti con chi si è alzato con la luna storta. Però… se è l’autista del bus che ti deve portare e tu non sai bene dove scendere…
D’altronde ci vuole un Maciste per districarsi in quel dedalo di stradine strette a traffico incessante. L’autista di prima deve alla cortesia di un’auto che si è messa in un angolo se è riuscito a passare a una curva.
C’è spazio anche per divertenti aneddoti (ricordate il gatto della prima parte?) e similitudini del futuro.
C’è la signora che è venuta a far la spesa dopo un lunghissimo turno di lavoro in ospedale, e ha un lapsus quando si accorge di aver nascosto in borsa un paio di articoli e si è dimenticata di dirlo alla cassa, ma si vede che è dispiaciuta con timore di star “derubando” il supermercato, per carità succede a tutti, le malignità della vita sono altre.
Si figuri che il giorno dopo io salirò sul treno ticinese per tornare a Milano, e solo a porte chiuse mi accorgerò del numero 1 scritto dappertutto, e nonostante sia zeppo come un uovo insisterò per scendere subito alla prima fermata al fine cautelativo di cambiare carrozza, non sia mai che uno svizzero controllore deduca che un’italiana si stia “approfittando” della prima classe…

Giunta la vacanza al termine faccio un piccolo riassunto di quello che ho vissuto in questi magici giorni.
Al momento di rivedere il lago avevo trovato un cigno dondolarsi vicino alla sponda. L’ultima sera lo vado a cercare. Un po’ mi avventuro, perché il lungolago è scuro, perciò proseguo assicurandomi di non essere mai completamente sola. Vedo ad un certo punto sulla riva un corpo bianco, ma potrebbe trattarsi di una boa.
Pochi istanti dopo un collo emerge… è lui. Si immerge forse per cibarsi. E l’amico non è solo, ce ne sono altri più in là. È proprio il punto dove lo avevo visto e fotografato all’inizio. Perché siamo proprio vicino al monumento ai caduti della prima guerra, il primo punto da cui ho rivisto il lago.
La natura è il ricordo più poetico, ma le creature che lo abitano danno un tocco di dolce.


Volevo vedere lo stesso che avevo già visto tre anni fa. Dopo cinque minuti mi son detta “Ok ma questo l’ho già visto!”. No ragazzi, c’è di meglio, e c’è di più.
A Como nacque la figlia di Franz Liszt, che poi sposò Wagner.
Como è candidata come città creativa Unesco per la salvaguardia ed il riconoscimento della lavorazione della seta.
Ricorderò la dolcezza di quel cigno e il mistero dell’apparire, mentre avevo sbagliato strada, di quella croce.
Ricorderò nella calma di questi pochi giorni che quel maestoso cedro del Libano deve averci messo anni e ancora anni per diventare così. E così ritrovo un po’ di equilibrio interiore.
Chi corre, continui pure a correre. Io vivo. Come lui.

Itinerario seguito:
Como – Menaggio – Valsolda – Lenno
Prossima tappa: Lecco, per vedere gli orridi e gli ambienti manzoniani dei Promessi Sposi. Non vedo l’ora!!