Mi preparavo ad un clima di tipo parlamentare.
Seria, entrai in quella casa con volontà di lasciar fuori le inutili diatribe, curiosa di sapere se sarei mai riuscita a respirare anch’io l’aria pura di quel passato coraggioso.
Tutto ruotava intorno all’uomo chiave, tal Giuseppe Mazzini, progenitore di quella certa idea di Italia unita che avevo studiato a scuola. M’infervorai, pur potendone solo seguire le tracce, giacché i secoli non erano gli stessi. Mi ci volle impegno. Venivo infatti dal futuro.
Entrai in quella casa con le mie sole forze: cuore e patriottismo. Quello che vidi mi catturò. La chilometrica lettera del vate, tal Gabriele D’Annunzio, richiamò alla mia mente precetti anteriori al tumulto di quell’epoca. Un invito all’impegno e al sacrificio, ma non propaganda di morte.
Tutti presenti: il politico, il condottiero, il combattente, il volontario. Tutti lì, in quei pannelli che ne riassumevano le umane vicende, ben custodite da quelle stanze silenziose. Loro erano stati lì. Lo erano ancora. Ora anche per me era come se fossi stata lì.
Potevo sentirmi fiera di ritrovarmi erede di quello spirito. Lui, l’uomo chiave, continuava ad esserci, ricordato da oggetti, scritti, dipinti e da un’imponente statua scolpita in sua memoria.
Soltanto, io avevo qualcosa in più: quello che per lui era solo un’idea, in me, figlia dell’Italia unita, era un imprinting consolidato. Ma un legame forte riconduceva me a lui: l’inizio di quell’idea, diventata poi sogno, oggi realtà. E un’importante parte di me.
Uscii come rigenerata, pur avendo soltanto potuto leggere, vedere, ascoltare… Proseguii per la mia strada, pensando che anch’io un giorno avrò terminato la corsa. Ma in mano a Dio, che tutto vede e di ogni ideale è Signore, quella lucina continuerà a brillare…