Mi accoglie quando ormai è già buio, con una pioggerella mischiata a odor di mare. Seguo le istruzioni ricevute circa il pullman da prendere, ma sbaglio fermata e devo tornare indietro.
Al buio si è soli di più: un gran silenzio, le luci lampeggianti delle boe e due pescatori davanti a un angolo d’acqua liscio come l’olio. Stretti in una striscia di terra fra la baia e il Carso.
Trieste mi saluta il mattino dopo a modo suo. Il mare dorme ancora.
Due uomini in piedi su tavole che avanzano sull’acqua servendosi di un remo. Non ho mai visto niente di simile… come se pattinassero.
Peccato per la foschia, ma almeno ha smesso di piovere.
Arrivata al parco di Miramare la sensazione non ha prezzo. Ho come una percezione rinnovata di bellezza, qualcosa che avverto in modo più intenso. E non parlo di castelli o dipinti, che di per sé già lo sono.
A Miramare transitò la nobiltà austriaca, negli anni ’30 vi abitò Amedeo d’Aosta, infine gli alleati ne fecero il loro quartier generale per restituire Trieste all’Italia.
No, parlo del sistema naturale.
Il mare è sempre liscio, non come in Liguria, con quel continuo infrangersi delle onde, qui il rumore si percepisce appena.
Con la foschia fa quasi un tutt’uno con il cielo, e di notte ho davanti come un enorme buco nero.
Verso sinistra si vede a malapena la città, e poco oltre, le prime coste di Slovenia e Croazia. Come un immenso deserto, solo il rumore di un cargo all’orizzonte.
Un cartello recita vietata balneazione: ci sto.
Vi immaginate come doveva essere questa costa al tempo di Massimiliano? B.e.l.l.e.z.z.a. Acqua limpida, spiaggetta di sassoletti. Così com’è deve rimanere.
La stanza di Max, come lo chiamavano, ricorda la cabina di una nave, letto a baldacchino, solo il ritratto di Carlotta, sua moglie, e un bagno senza rubinetti.
Max amava la natura, amava la poesia, fin quassù ha voluto una testa di Dante nella sua biblioteca, al fianco di Goethe e Omero. Le tappezzerie azzurre, con temi di ananas e ancore, ricordano ancora il mare.
Carlotta amava suonare il fortepiano e dipingere, dimentica degli sfarzi imposti nelle grandi città.
Trieste in una domenica di febbraio senza turisti: si sta bene
È lo scorrere tranquillo di una normalissima città.
Voglio anch’io passeggiare fra quelle architetture singolari, morbide, senza eccessivi carichi.
Alcune colonne sono figure umane. Singolari anche queste.
I centri storici sono quello che sopravvive trionfante alla decadenza dei nostri tristi tempi.
Cambiano le persone, ma quei palazzi sono sempre lì. Come se volessero prolungare il proprio tempo nella storia.
Cambiano i secoli, loro sono sempre, ancora, lì. Per invitarti a ricordare le epoche in cui sono stati protagonisti.
A Trieste James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba non sono monumenti. Li incontri in mezzo alla folla, scolpiti alla stessa altezza.
Sul ponticello del Canal Grande ecco il primo, nativo d’Irlanda, autore di Gente di Dublino e dell’Ulisse.
Diventò amico del secondo, lo aiutò ad emergere.
Vado a cercarlo, arrivo in una piazza, scruto fra la folla, non lo vedo ma so che c’è… eccolo lì, sorridente, come quando si saluta qualcuno per la prima volta.
Che aggiunge al saluto un invito ad andare anche tu a trovarlo.
Il giorno dopo un banale incidente in camera, un tappo finito nel tubo del lavandino, dà l’occasione di tramutare una cortesia anonima in sorriso.
A colazione un timido ragazzo si alza persino per offrirmi la sua brioche che non vuole più. Un inizio di giornata coerente con la virtuale stretta di mano di ieri, un attimo d’incontro che va completato.
Al Museo Sveviano, allestito al secondo piano di una biblioteca, mi aspetto la classica mostra, ma trovo invece l’aiuto di due gentili guide che raccontano fra fotografie, carteggi e video, le vicissitudini di due personaggi che fecero tanti lavori ma la cui ragione di vita era scrivere.
Non è necessario, e nemmeno è possibile pretenderlo, di sapere sempre tutto. Basta accendere una luce: leggere un opuscolo, guardare un video, prendere in prestito un libro.
Che diventi passione, o rimanga un momento, è sempre qualcosa di prezioso.
La signora Trieste indossa un vestito che fa dimenticare Venezia
città molto comune a prima vista, invece delle cicatrici ha voluto mostrarmi le sue cose più belle, quelle che vogliamo specialmente ricordare. È giusto.
Continua la foschia, il Carso si nasconde.
Dopo il pomeriggio a Gorizia, stasera ritorno sul lungomare, c’è più luce, hanno acceso più lampioni, ma in certi punti la luce di dietro dà persino più enfasi al buio pesto davanti…
Trieste mi saluta il terzo giorno con un mare che ha ripreso movimento
Tira aria di temporale.
Le coste si vedono di più.
La giornata è dedicata a Udine, piccola cittadina con tracce in stile veneziano, una chiesetta con balconcino ed un castello simbolo del Friuli, pieno di tesori. Inizia così, con un tempo che non si decide… alla fine s’alza un vento gelido e torna il sole.
L’ultima sera riconosco Trieste in lontananza per le luci dorate tutte in fila, come le perline di un braccialetto.
Finita la nebbia, luna e stelle finalmente libere di brillare in cielo, il mare torna a essere mare. In fondo, tante altre luci.
Lampioni bianchi del porto, poi, ancora oltre, una cittadina. Un’altra luce molto forte proprio davanti a me, lì siamo già in Croazia.
Il faro grande non proietta più un fascio fendinebbia. Ora posso andarmene felice.
Quando sono arrivata, era una città stanca. Il giorno di partenza mi saluta con un sole che abbaglia
Mi congedo con in cuore la promessa di ritornare, ci sono mille altre piccole e grandi cose da vedere.
In questo angolo in disparte del paese, si ritrova pienezza di tempo, quel respiro del vivere che fece dire a Joyce in una lettera alla moglie, quando ormai era partito definitivamente, “…la mia anima è a Trieste…”.
Lei sola, fra tante, aveva fatto breccia nel suo cuore.
Crocevia di culture diverse, porta verso l’Europa orientale.
E per me un arrivederci che promette nuove destinazioni.
Destinazioni che, ne sono sicura, mi porteranno oltreconfine, in tante parti d’Europa per me ancora sconosciute (eccetto Berlino, in cui sono stata nel 2009). Ogni tanto mi trovo a fantasticare di andare a cena a Lubiana…
Per ora mi sono “accontentata” di un itinerario semplice: Trieste – Gorizia – Udine, ma vorrò estendere il raggio anche a Pordenone.
Rimanendo in ambito città, mi riprometto di visitare i musei della bora, e quello teatrale Carl Schmidl che custodisce l’archivio di Giorgio Strehler. E naturalmente (figurarsi se no!) scoprire i caffè…
E tu?