Oggi una signora, accennando ad un’opera lirica da lei vista, ha espresso il suo disappunto sulle scenografie moderne. Asseriva che all’opera si va per ascoltare la musica, e che pertanto l’adattamento originale non dovrebbe mai essere alterato.
Comprendo che si possano preferire certe forme classiche; io condivido in pieno che, ad esempio, il ballo della Traviata sia più bello con abiti e acconciature dell’epoca a cui fa riferimento.
Però la signora dimentica che l’opera va fatta anche conoscere.
L’opera si esprime attraverso la musica, e la musica fissa un momento unico e irripetibile nello scorrere ordinario del tempo. Sarebbe un sacrilegio ritoccarla.
Gli umani fatti, al contrario, non si fermano alla narrazione storica. In quanto fatti, portano a coinvolgerci a livello personale. Le scenografie pertanto devono poter parlare anche al presente o al futuro. Proprio noi che ci emozioniamo al suono delle arie più celebri, e ne comprendiamo il valore per l’umanità intera, non vorremmo che tutto questo andasse perduto, vero?
Mi ricorda un progetto esposto qualche tempo fa a Palazzo Madama di Torino, su nuove proposte di scenografie immaginate per il Macbeth di Verdi da un gruppo di studenti del politecnico.
Macbeth è, sì, la storia di un certo sovrano scritta da Shakespeare. Ma è anche una storia sulla brama di potere, e sulle sue nefaste conseguenze. Perché la brama di potere di un sovrano è storia universale. E anche quel certo sovrano può essere, in fondo, un qualsiasi sovrano. Ne consegue che l’opera può essere benissimo collocata anche in scenari finora mai visti.
Può ritrovarsi in una scena africana, ornata di colori e motivi di belve feroci, figure misteriose ovunque, e medici che in realtà sono stregoni. Oppure può trovare luogo sotto forme più classiche, stile Mefistofele di Gounot, con l’uomo vestito di rosso sangue, e tutto il resto di un nero tetro.
Può richiamare allo stile di Giorgio De Chirico, e scatenare un turbine enigmatico di contrasti. Può ripetersi in un ambiente di mafia, o trovare occasioni negli spazi occulti di una frenetica metropoli.
E se il potere è anche tacco, forse un giorno comparirà in scena la lady Macbeth in leggins. Chi lo sa?
Mi associo all’appello a creare lavoro artistico e ad esportare scenografie teatrali. Tutto questo potrà piacerci o meno, ognuno si tiene i suoi gusti. Ma non c’è volontà di alterare l’opera originale. Anzi, ricordo che i lavori esposti erano idee di ottima qualità.
L’opera non muore, è troppo potente, e la sua forza di gravità troppo forte. E i giovani non sono che alcuni dei soggetti coinvolti, perché chi si cura di indirizzarli in genere è di tutt’altra generazione.
Mi auguro che la voglia d’impegno dei cinquantenni trovi motivo di rinvigorimento nel volume di gioventù che ci troviamo a dover curare. E’ un po’ come l’arca del futuro: per noi (imprenditori, sognatori, visionari), per loro, per tutti.
E per chi poi queste cose le andrà a vedere e ne parlerà come di qualcosa che lo ha molto colpito.
Cose belle, ben fatte e ben studiate; tutta opera di giovani menti.
Menti che non sono Macbeth.