Sto così bene a Lecco, puntino d’Italia con sbocco sul lago più bello, che ho deciso di dedicare l’ultimo giorno ai luoghi dei Promessi Sposi in città e nei rioni limitrofi, rimandando la gita a Monza ad altra data.
Domani farò sosta a Milano: oltre alla mostra alle Gallerie d’Italia, ne è stata inaugurata un’altra a Palazzo Reale. Ho scelto apposta di arrivare alle 9 per poi partire più in là possibile, alle 15…
Sono molto contenta. E stasera: pizza per festeggiare!
Gli ospiti con gatta al seguito se ne sono andati, così a colazione trovo la padrona di casa intenta a ripulire.
Ci salutiamo, le faccio i complimenti per come tiene la struttura (alla Grandi Cime Guest House si sta non bene, ma benissimo), e lei mi suggerisce di andare a vedere gli affreschi di Sora in una chiesa molto moderna, San Giuseppe al Caleotto, che avevo già trovato sulla strada da e per la stazione.
Rispondo che andrò senz’altro a vederli nel pomeriggio, quando prenderò la via per Pescarenico.
Orlando Sora è un nome conosciuto a Lecco, pur essendo originario di Fano, nelle Marche.
Si trasferì nella città lombarda agli inizi degli anni ’30 e vi rimase fino alla morte nel 1981.
Dimostrò da subito inclinazione per la pittura, ci fu un periodo in cui praticò persino la boxe, ma alla fine scelse la via dell’arte. Ci sono affreschi suoi anche all’ospedale.
Nelle sue opere si vede un inizio di espressività intima e personale, che poi abbandonerà per abbracciare lo stile dei pittori del ‘400 allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Cercando qualche informazione in rete, ho trovato questo piccolo tour virtuale con violoncello che mostra i suoi affreschi nella città sottolineando le espressioni semplici ma dolci di figure che si potrebbero definire sempre attuali.
Dopo questa piccola parentesi torniamo al tema della giornata.
I luoghi manzoniani a Lecco sono punti della città che hanno ispirato l’autore per lo sviluppo della storia
La loro accurata descrizione nel romanzo aiuta inoltre a farsi un’idea dei singoli personaggi.
NON SONO quindi tutti MONUMENTI.
Per esempio, la casa di Lucia non esiste in quanto Lucia è un personaggio inventato. Esiste però un’edificio in cui è stata posta una targa con citazione dai Promessi Sposi. Quando si parla poi di casa vera e di casa presunta, è perché in mancanza di un’indicazione precisa si può soltanto dedurre.
Ci sono luoghi anche a Milano (per esempio il punto dove sorgeva la panetteria presa d’assalto dalla folla) e a Monza (il convento della monaca dove Agnese e Lucia trovano rifugio).
I punti d’interesse a cui dedico la mattinata sono quelli corrispondenti ai primi capitoli dell’intera storia, nei quartieri vicini a dove alloggio, il che mi consente di fermarmi al supermercato e tornare “a casa” per il pranzo.
Camminando nei rioni di Aquate e Olate
Ippolito Nievo scrisse che «La scena dei Promessi Sposi… è proprio stupenda, più a vederla che a leggerla» (cit. da Wikipedia), sensazione che confermo in pieno.
Mi accorgo subito che si esce un po’ dalla città moderna, quella trafficata e dei palazzi intendo, per trovare vicoli stretti, in tema con quei tempi lontanissimi in cui le auto non esistevano e per andare e venire si camminava.
La mappa che mi avevano dato all’ufficio turistico è però un tantino approssimativa; meglio fare affidamento alle arterie principali per orientarmi, magari la strada è più lunga ma più sicura.
Faccio infatti tutto un gira e rigira della testa; oltre a captare tanti dettagli (tipo Via Agnese o Via Renzo), il problema è che non sempre trovo scritto il nome della strada, cosa che per me forestiera è fondamentale… Il cartello che indica Via Ugo Foscolo a un certo angolo è addirittura “nascosto” dietro un semaforo!
Il punto a me più vicino è il tabernacolo dei Bravi, dove gli sgherri fermano Don Abbondio, intimandogli il famoso “non s’ha da fare” per impedire il matrimonio di Renzo e Lucia.
Poi proseguo verso la casa della fanciulla, e qui faccio un po’ di fatica (il gira e rigira di prima). Il tabernacolo è a fianco della strada principale, mentre per la casa devo entrare nelle viuzze, e la mappa non è proprio precisissima.
Quando trovo una stradina inforco il passo, dev’esser quella, non ce ne sono altre… Arrivata alla fine, ecco la conferma; era quella! E meno male!
Poi provo a dirigermi verso il palazzotto di Don Rodrigo, e a questo punto comincio ad avvertire un po’ d’inquietudine.
Dovrei arrivare a un ponte ma più vado avanti, più la strada scende e il ponte non si vede. Nessuno in giro, nonostante sia una mattina di lunedì. Saranno tutti a fare spesa…?
Magari meglio lasciar perdere, solo per una targa…? Ma sono una testolina dura su questi punti. Solo non vorrei correre rischi.
Arrivo alla piazzetta indicata sulla mappa, e subito a sinistra ecco il ponticello. Deserto.
Certo, qua negozi mica ce ne sono… C’è invece un cantiere chiuso, che essendo un cantiere si mostra con tutto in aria. Non so come spiegare, non è un bel prato di parco pubblico curato…
Pur trovandomi non lontana da punti abitati, il senso di isolamento è forte.
L’unico segnale di vita è il rumore di un’asfaltatrice. Non sono proprio sola, ci sono degli operai… Affretto il passo, attraverso, e sempre a sinistra la strada risale.
Finalmente vedo una signora a una fermata di pullman, e il rumore si fa più vicino. Niente ombra di palazzotti, così provo a prendere una viuzza laterale (stessa storia di deserto tranne un signore che porta a passeggio il cane).
Insomma, dev’essere qui da qualche parte… Se non trovo indicazioni stavolta sì che lascio perdere.
Bingo! Ecco la prima targa, con a destra una salita.
Torno con la mente a immaginare il cammino di Fra’ Cristoforo, quando decide di presentarsi in casa del signorotto prepotente nel tentativo di convincerlo a desistere dai suoi propositi. Un paesaggio desolato, con appunto una salita. Come la sensazione di abbandono che ho provato io.
Fra una fila di case recintate e un muro di cinta, arrivo al punto d’ingresso segnalato con una targa, e che come la maggior parte di questi posti, dà solo un’idea di quello che doveva essere.
Tuttavia, immedesimarsi in un frate in missione difficile, e pensare che di situazioni così ne sono accadute realmente, è stata un’esperienza insolita. In piena sintonia con la citazione di Nievo.
Soddisfatta, torno indietro. Rincuorata, ho voglia di proseguire.
Sfocio stavolta proprio davanti agli asfaltatori, e allora rifugio gli occhi dietro il quaderno, e questo sa un po’ di Don Abbondio quando cercava rifugio (e di darsi un tono) nel breviario alla vista dei bravi, i quali con le loro minacce metteranno non solo in subbuglio la vita del parroco (già di suo pusillanime) ma daranno inizio ai due anni di travagli lungo i quali la storia intera si sviluppa.
Finisco la mattinata ritrovando la chiesa del primo giorno, nel rione di Olate, dove Renzo e Lucia avrebbero dovuto sposarsi, e dove poi alla fine, sì, si sposeranno.
L’ultimo luogo della lista è una delle case di Lucia, ora non ricordo se vera o presunta, ma diciamo che questa, è più vicina all’idea di una casa dell’epoca.
Ultima tappa al super(mercato), poi a pranzo. Un po’ di relax, ma non troppo, perché c’è da andare (finalmente!!) a Pescarenico.
Ho idea di raggiungere il punto più lontano, quello della fuga dei giovani, e tornare indietro passeggiando lungo l’Adda, fino a rientrare nella piazza del convento di Fra’ Cristoforo.
Pescarenico ai tempi del Manzoni era un villaggio di pescatori
la terricciola con un gruppetto di case a sinistra dell’Adda, nel tratto d’acqua che unisce il fiabesco lago di Como al lago più piccolo di Garlate.
Oggi è rione di Lecco. Vi si tiene ogni estate una sagra, con attività ludiche, serate danzanti e regate.
È il luogo protagonista dell’Addio Monti, la sera fatale in cui Lucia volge indietro lo sguardo e in segreto piange, addolorata per essere costretta ad abbandonare la sua terra senza sapere se mai la rivedrà.
È romanzo, ma fino a un certo punto… Così devono essersi sentiti i nostri emigranti… Così ho cominciato a sentirmi io, vivendo all’estero e sentendo che la nostalgia per la propria terra può portare a crisi. Si piange.
Da notare che la mia solo nostalgia era, figuriamoci un distacco forzato…
Sono arrivata fin qui a piedi, come a piedi sempre fin qui arrivarono i due fuggiaschi, con la madre di lei, Agnese.
Quella notte i bravi avevano pianificato di rapirla, non trovando però nessuno in casa.
Erano da Don Abbondio, entrati con una scusa, per tentare di forzare il parroco ad accettare il matrimonio. Ma la situazione era degenerata, e il parroco si era messo a strillare e a suonar campane.
Amareggiati dal pasticcio, sulla via del ritorno furono avvertiti di recarsi invece subito da Fra’ Cristoforo, che aveva saputo in tempo del piano orchestrato dal Griso su ordine di Don Rodrigo.
Il frate li indirizzerà alla barca della fuga e darà loro lettere di raccomandazione per ottenere rifugio.
Sfollati. In un lampo.
Già il primo giorno di esplorazione a Lecco avevo visto dall’altra parte della riva le barche e un edificio rosso scuro, e ammirato il cambio di paesaggio rispetto al lago.
Senza saperlo, ho fatto quello che molte guide consigliano, ammirare Pescarenico dalla sponda opposta (poi però mi ero fermata non trovando nessun ponte per rientrare).
Da quella visuale mi ero fatta l’idea che fossero solo case caratteristiche lungo la riva, ma non è così.
Infatti c’è anche una parte interna, che mi sarei persa se non avessi visto in Piazza del Pesce una freccia che indica da dove entrare fra le case.
Lungo il fiume ero affascinata dalle barche, dal paesaggio, dai monti, e per amor di un cigno che mi si è avvicinato mi sono persino arrischiata su un pontile.
Fra le case invece il fiume scompare, e si sentono le voci delle donne da dentro quelle finestrelle ad altezza d’uomo rinforzate da sbarre, e che curiosità d’entrare…
L’ultimo punto manzoniano è il convento. La chiesetta è aperta e carina, ci sono anche due stendardi ricamati.
Sulla strada del ritorno
tiro un po’ le fila sul legame fra Lecco e i Promessi Sposi
Data l’assenza di monumenti, uno deve lavorare d’immaginazione, ma è un ottimo esercizio per imparare ad entrare in empatia con il territorio che si visita.
Lecco è (naturalmente) una città moderna tutta strade, traffico, palazzi e insegne di negozi.
Bisogna fare uno sforzo per riuscire a sentire almeno in parte quello che non si vede più, ma che c’è stato e ha ispirato tanto.
Bisogna tornare a rileggere un po’ del romanzo, rimettersi un attimo nei panni del Manzoni, di quello che ha vissuto lui per primo.
Lecco città potrebbe non piacere più di tanto, probabilmente la semplice evoluzione naturale di quella che fu. Forse è di una bellezza più genuina che estetica.
E il romanzo è una semplice storia di gente comune. Non è il tormentato Malombra di Fogazzaro, ambientato sul lago di Como, pieno di ville e misteri.
Siamo NOI, ogni volta che viaggiamo, a dover mettere da parte il moderno (respirando profondamente prima di metter mano a tutti gli aggeggi del caso) e ritornare al legame con quello che abbiamo ereditato.
È il solo modo di crescere, e far sì che a ogni viaggio si impari veramente qualcosa.
Per non finire a dire solo un vuoto “ci sono stato”.
Leggi anche da dove comincia il primo capitolo della mia storia con questa bellissima parte del lago di Como, completata da un’escursione all’Orrido di Bellano e a Varenna, di cui parlo nei prossimi post.