Ecco arrivato il gran giorno di un pomeriggio dedicato a Palazzo Vecchio, l’antico Palazzo della Signoria oggi sede del Comune di Firenze.
Come sempre, parto con il mio bravo tempo in anticipo sull’orario di chiusura, in modo da avere tre orette abbondanti per veder tutto con calma, prediligendo quel momento pari a zero affluenza in cui sento più viva la sensazione di aver l’edificio “un po’ tutto per me”.
Peccato solo che piova, anzi, peggio: che piovvigini. Ho un ombrellino di quelli che durano giusto tre piogge, e perciò arrivo un tantinello bagnata, fastidioso ma vabbè, m’asciugherò dentro…
Ho detto tre ore non a caso; tutto in questi edifici è straordinariamente grande: scale, colonne, soffitti, affreschi, nomi e significati. Immagino la forza lavoro e la fatica, non è come tirar su una casa. Molti di questi palazzi dovevano essere concepiti con propositi immensi, almeno quanto le loro proporzioni…
Dopo il primo scalone e il controllo del biglietto, mi fermo un momento e noto a sinistra un leone che afferra l’asta con in alto un giglio. Davanti a me la scala scende e subito risale in un’altra direzione. Ma il mio percorso mi conduce al gran Salone dei Cinquecento.
Ragazzi, questo sì che non bisogna perderselo…
L’avevo già visto in occasione di un concerto del Premio Crescendo di musica classica, con tanti bimbi promesse ognuno del proprio strumento, e diversi brani che in qualche modo legavano con l’atmosfera di quell’ambiente facendomi formulare delle considerazioni molto personali.
Ma oggi non ci sono eventi, e si può camminare avvicinandosi a quelle enormi scene belliche dipinte che legano lo sguardo ad un soffitto ornato con oro e scritte in latino, e a tutto il resto di sculture a tema mitologico e simbologia della vittoria sul nemico (che a quei tempi era la città confinante); le luci soffuse danno ancora più risalto alla lotta di Ercole contro il centauro Nesso e Ippolita regina delle Amazzoni.
In un angolo si entra nello studiolo di Francesco I, secondo Granduca di Toscana, con appesi, uno di fronte all’altro, i ritratti dei genitori Cosimo I e dell’amata moglie Eleonora di Toledo.
Una stanza piccola e un po’ pressata da ricche decorazioni, tra cui i segni di quella che potrebbe in realtà essere una porta. Anzi forse ce ne sono due… alla fine ne vedo tre, e scorgo anche delle chiavi.
Se non erro, una di queste dà su un passaggio segreto.
Mi chiedono di mostrare di nuovo il biglietto, ma parlano piano e non capisco, e allora esclamano “Ticket!”; li tranquillizzo, sono italianissima, solo che mi sembra di essere in bilico fra due mondi, quello razionale e quello emozionale, e quest’ultimo prende campo in modo così forte, dando forse a chi mi vede da fuori l’impressione di aver la testa fra le nuvole.
Sento il tempo, ma non quello atmosferico. Sento il tempo che sfugge ad ogni minuto, e ci fa sentire come se dovessimo fare sempre tutto alla svelta, anche in un museo.
C’è così tanto che si fa fatica a tener traccia di tutto. Mi ricordo dieci anni fa a Palazzo Pitti: una parete intera ornata di quadri. Come fai a guardarli tutti?? D’altronde, era lo stile dell’epoca.
Ho un attimo di confusione ma m’impongo uno stop.
Non posso contenere secoli di storia e filosofia in un trattino di tempo, ma quello che davvero importa è l’esperienza di quello che il luogo man mano mi dirà.
Proseguo nel quartiere di Leone X che prevede diverse stanze.
La prima, con affreschi e decorazioni più leggere, allegorie e qualche accenno persino tenebroso, è quella di Cosimo il Vecchio, il Pater Patriae, il primo dei Medici a ricoprire una carica di prestigio.
Successiva è la sala di suo nipote, Lorenzo il Magnifico, così chiamato per le sue grandi doti intellettuali, e che passò alla storia per aver favorito la corrente umanistica.
Ancora oltre, la sala del figlio di quest’ultimo, Leone X appunto, che divenne papa e favorì le arti in quel di Roma.
Al piano secondo, quasi ho paura al salir le scale già che lo sguardo non vuol staccarsi dai soffitti, e mi aggrappo al corrimano che qui è una robusta corda verde.
Proseguo al Quartiere degli Elementi, aria, terra, fuoco, acqua.
Affreschi meravigliosi, primo su tutti un accenno di Venere che rimanda al Botticelli degli Uffizi; e ci sono scritte in latino come a voler rafforzare il carattere solenne dell’insieme. Gli dei raffigurati dovevano alludere alle virtù.
Una svista mi porta su un video che ne spiega i restauri, il che conferma le mie sensazioni che è tutto uno splendore d’arte rimesso a nuovo.
Ora mi viene una domanda: perché i regnanti arricchivano le loro ambientazioni di così tanti episodi mitologici? Non era una contraddizione accanto a tante chiese di un credo che rimanda ad un unico Dio?
Ogni sala del secondo piano è dedicata ad un dio, ma occorre leggerne le gesta per capire il punto d’incontro con il personaggio storico.
Per esempio, sopra la stanza di Cosimo I c’è la Sala di Zeus, il re dell’Olimpo che venne nascosto dalla madre per proteggerlo. Maria Salviati, la madre del primo Granduca, fu infatti molto vicina al suo unico figlio, su cui riversava le proprie ambizioni.
Quella di Eleonora è sotto Giunone, moglie del re degli dèi.
Lorenzo il Magnifico è sotto la sala dedicata a Opi, la madre di Zeus, mentre Cosimo il Vecchio fu accostato a Cerere, che provvedeva al benessere dell’umanità.
Da una saletta verde con scrittoio e cappella privata, si entra nel quartiere di Eleonora, dove il Vasari rialzò quasi tutti i soffitti decorandoli con storie di antiche eroine.
C’è la Sala delle Sabine, con Ersilia che ferma la guerra mossa dai Sabini ai Romani colpevoli del ratto, simbolo della gran virtù di mediazione di noi donne.
Finalmente trovo anche un’eroina biblica, Ester, che qui è presente per celebrare Eleonora nel ruolo di duchessa.
Poi la sala dedicata a Penelope, simbolo di fedeltà coniugale, e quella di Gualdrada, ricordata nella Divina Commedia, fiorentina simbolo di pudicizia ma che allude anche all’indipendenza di Firenze.
Mi viene un’altra domanda: perché moglie e marito regnanti dormivano separati? È una domanda per un esperto di medioevo…
Infine si accede alle Sale dei Priori, ovvero i membri di governo della Firenze Repubblicana (il periodo antecedente all’istituzione del Granducato).
La Cappella è decorata in scuro con sembianze di mosaico, e tante scritte.
La Sala successiva, quella delle Udienze, mi sbalordisce, è come il sole che rinasce!
Dall’atmosfera di raccoglimento di prima, per ovvie ragioni più sobria, si passa ad un ravvivo di affreschi, con talmente tante figure una accanto all’altra in un’esplosione di colori vivi, e poi carri, cavalli, lance, colonne, spade.
Rispetto al Salone dei Cinquecento, questa mi sembra persino meno guerresca.
Fu affrescata dal Salviati per ordine di Cosimo I, che qui riceveva i sudditi.
Cosimo si sentiva forse anche un po’ dominatore dell’universo? Questo supporrebbe la grande Sala finale delle Mappe Geografiche con un enorme mappamondo al centro…
Non puoi fare la guida a Firenze se non sei di qui, o hai deciso di viverci. È troppo quello che va saputo, non basta un diploma. E poi, come per tutte la cose, per capirle fino in fondo bisogna viverle.
E non puoi capire Firenze restando fuori della porta, ci devi entrare nei palazzi e nei musei, che si scoprono anche in occasione di semplici conferenze.
Perché la caratteristica di questa città è proprio quella di essere scrigno custode di tesori che van ben oltre la nostra capacità di immaginarceli.