Stavolta l’emozione mi prende più del solito… Di Faenza era la mia cara mamma, che è volata in Cielo qualche anno fa. Da allora quando metto piede in Romagna è come un ritorno alle origini.
Perché allora non ci vado a vivere? Me lo chiedo anch’io e non so mai rispondere. Faccio le mie scelte. Ma da dove vengo ce l’ho ben chiaro.
E così Faenza è stata una visita dovuta, condivisa con il cuore di lei, specialmente al MIC. Ho sentito dentro lo stesso palpitare per le aspirazioni d’arte che aveva lei.
Cara mamma,
sono passati oramai anni da quando ci hai lasciato, ed oggi ho voluto tornare nel posto in cui sei nata.
Era il 1938 quando venisti al mondo, triste collocazione storica, ma anche l’anno in cui il Premio Faenza, ovvero il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea, assunse rilievo nazionale.
Il “trenino” (due carrozze appena) punta verso l’alto per superare l’Appennino, in quella parte d’Italia che divide la penisola dal nord.
Mi fa come l’effetto di un salto, eccomi perciò “atterrata” a Faenza, patria di Laura Pausini nella regione del bel canto che tanto ti appassionava (e che sei riuscita a trasmettermi), e porzione di patria di una cucina che al mondo c’invidiano.
Una città che crediamo piccola e fuori dalla celebrità; invece nasce terra ricca d’argilla, e diventa col tempo celebrità delle ceramiche. Quell’ “invece” è dedicato a te, che avresti voluto seguire queste aspirazioni se solo la tua vita fosse stata più libera.
Mi accorgo subito di qualche familiarità. Le primissime brocche, risalenti al Medio Evo, appaiono robuste, ma anche molto ornamentali.
I gusti sono gusti, diciamo pure che i miei non sono prettamente di tipo archeologico. Ma faccio volentieri un piccolo sforzo per conoscere meglio quello che era insito nel tuo modo di essere: la ricerca del bello e l’aggiunta del tocco finale, come un dettaglio o un profumo, il senso della convivialità…
Ce n’è voluto per farmelo capire, ma hai visto che cosa sto facendo qui? Ce l’hai fatta!!
Anche tu eri il tipo che vedeva ben oltre le montagne. Avevi detto che io ho educato te, ma oggi vedo che certe cose sono sempre reciproche. Quando ho cercato di dire la mia, mi sono trovata ad imparare anch’io.
Certo, anche tu… hai dovuto ammettere che c’è di più che conformarsi con quello che passa il convento, e che esistono anche le cose nuove, e che possiamo essere proprio noi i cavalieri che ardiscono di cominciarle.
Leggo che Faenza è sempre stata centro di produzione artistica, e perciò capisco bene quello che avresti voluto essere. Non erano solo disegni, ma la traccia iniziale di un sentiero soleggiato, ed avevi ragione a volerla rivendicare come REALTA’.
Hai attraversato le fasce storiche del dopoguerra, dal boom del ’50, allo sviluppo del nostro design, fino ai più recenti anni ’90 tecnologici, ma a quanto pare la vena creativa del nome italiano non ha subito intoppi.
Evidentemente è una caratteristica di esclusiva nostra, che scaturisce più facilmente da noi piuttosto che da altri popoli, e specialmente fra quelli di questa regione.
Guardo questi Bianchi, di un colore predominante, pulito, spesso, lucente. Come la luminosità del tuo sguardo, persino negli ultimi anni della malattia, in cui ti fu concesso di tornare bimba e stare serena.
Ricordo la tua forza, e altrettanto forte voglia di schiettezza, quando guardo oltre il disegno e capto la qualità del materiale, immaginando l’enorme e faticoso lavoro per produrlo.
La sostanza è quella che intensifica il valore. Un passato di forza uguale e contraria rispetto al conformismo odierno, una volontà creativa che da zero è stata capace di simili meraviglie.
Bello il centro storico; eccola, la Romagna senza sontuosità, che celebra messa fra mura di mattoni incastonati e qualche piccolo angolo di pittura. Mi riposo un attimo nella cattedrale, giro lo sguardo dalle colonne fin verso un soffitto ornato da rotonde che rimandano alle ceramiche appena viste.
I piedi ringraziano; dalla fine dei tuoi tempi il perimetro di passeggio è aumentato, ed essi portano il mio peso un po’ per ogni dove in questo nostro magnifico paese.
Da quaggiù, piccolina, mi chiedo se mi vedi. Quello che so è che sono rimasta nel tuo cuore. Ci rivedremo. Quel momento arriverà.
Vedo meglio che avevi una fede genuina, una voglia di capire il senso autentico delle cose, oltre le tradizioni. La sostanza che modellava te, oggi la vedo trasmessa in me, come un’eredità inaspettata.
E’ un dono di Dio, ma tu ne sei parte. Ne sono felice. Sono parecchio più sciolta, ormai ogni volta che sento Mina cantare, penso a te e ho un tuffo al cuore. Le mie prospettive sono diventate più grandi, più estese, più tutto.
Certe cose non si capiscono subito, ma solo dopo: non siamo poi così padroni di noi.
L’abbiamo fatta la nostra vita terrena: ce le siamo anche date, ma ci siamo dette tutto quello che bisognava dirsi; nonostante le nostre non poche spigolature, l’Amore che ci univa è emerso, spazzando via tutti gli affanni.
Ringrazio Dio di sentire sempre vivo il legame con te, perché VIVA sei tu dall’altra parte, e se mi venisse concesso di vederti proprio ora non saresti più in quelle ceneri, ma in bianco fino.
E non sarebbe più per condurre la stessa esistenza, ma per dirmi di non avere paura.
A proposito di ceramiche, ho visitato anche l’interessante museo di Montelupo Fiorentino. Trattandosi di un cambio di regione, è giocoforza aspettarsi differenze, e difatti la Toscana, a mio modo di vedere, è di un tipo di arte più complesso.
Faenza fa parte del mio circuito di città meno conosciute che invito a considerare, città solo in apparenza semplici, ma con una propria estetica e ricchezza inaspettate. Ma non dico di più.